Numero chiuso, casta, privilegi, professione d’oro: ti basta una breve ricerca su Google per capire che il mestiere del dentista è qualcosa di atipico perché è spesso associato a termini che nulla hanno a che fare con la salute e la deontologia professionale.

Fino agli anni ’80 non esisteva una specializzazione in Odontoiatria, ti bastava la laurea in Medicina per decidere se fare di giorno magari l’anestesista e la sera dedicarti alle bocche dei tuoi pazienti. L’accesso alla professione era quindi più semplice, la concorrenza quasi inesistente. Questi sono stati i semi che hanno portato nel corso degli anni alla nascita del mito della professione d’oro. Uno studio ben avviato, la Porsche parcheggiata in bella vista, una casa in Sardegna e una in Val di Fassa. Le agende erano piene di appuntamenti, le segretarie belle ed efficienti così come le assistenti di poltrona.

Il passaparola di clienti soddisfatti

Non si discute di bravura, è ovvio. In quegli anni molti dentisti hanno costruito la loro fama sul campo, con il passaparola di clienti soddisfatti. Il problema è che poi sulla parcella ci siamo ritrovati a pagare anche la notorietà che mano mano veniva acquisita dallo studio dentistico. Il rapporto era direttamente proporzionale: più cresceva la fama del luminare, maggiori erano le parcelle richieste. Quindi, ti curavi il problema ma allo stesso tempo finanziavi la Porsche e la vacanza al mare.

La mancanza di concorrenza

Se dovessimo trovare un “colpevole” in tutta questa storia questo sarebbe senza dubbio la mancanza di concorrenza. Nelle grandi città i studi erano due, al massimo tre, mentre nei piccoli centri eri già fortunato a trovarne uno solo, situato nella piazza principale del paese con un dottore che conosceva tutti, con uno studio di proprietà e legato ai suoi compaesani da un rapporto di stima. In parole povere, c’era solo lui, era bravo e ti affidavi ciecamente alle sue cure e… alle sue parcelle. Chiedere e confrontare preventivi diversi tra loro era impossibile e quindi ti facevi andar bene qualsiasi prezzo, magari riuscivi anche a strappare un margine di sconto e la questione finiva lì.

La mancanza di una concorrenza capillare ha alimentato anche la consapevolezza che, quasi al pari di un lavoro statale, quello del dentista fosse un posto sicuro, oltre che redditizio. 

L’introduzione della specializzazione in odontoiatria e il famigerato numero chiuso hanno alimentato la sensazione di trovarsi di fronte a una gallina dalle uova d’oro. E così è stato per decenni, grazie anche alla presenza di un fenomeno che ha toccato questa professione così come molte altre nel nostro Paese. Il riferimento è ovviamente rivolto al mondo del sommerso, del non dichiarato. Il piccolo sconto sul preventivo spesso si concretizzava in una specie di “do ut des”. Ti faccio lo sconto ma non emetto la fattura.

Per anni la professione odontoiatrica è stata considerata un ascensore sociale proiettato verso l’alto. Il giovane dentista con la Porsche, il più anziano con la Jaguar. Gli studi ben avviati diventavano delle caste chiuse accessibili solamente di padre in figlio. Del resto, di fronte alle vacanze in Sardegna e al macchinone parcheggiato di fronte alla villa, quale giovane con un minimo di attitudine al mestiere si sarebbe tirato indietro?

Gli anni d’oro dell’odontoiatria

Questa era la situazione negli anni d’oro dell’odontoiatria. Non deve stupirci quindi che la professione sia diventata la nicchia di una lobby che, nel corso del tempo, ha mantenuto e acquisito privilegi importanti.

Scarsa concorrenza, una politica dei prezzi arbitraria e senza controllo, la mancanza di un listino nazionale di riferimento: questi sono stati i punti cardine che hanno contribuito a mantenere il mito del mestiere ricco e fisso. Il paradosso della situazione è che questi stessi parametri hanno portato alla grave crisi del settore.

Negli anni ’90 il mercato inizia a vacillare. Negli Usa nascono le prime catene low cost che approdano in Europa nel ’91, prima in Spagna, poi in Portogallo e infine nel nostro Paese. I dentisti fanno fronte unico, queste start-up non riescono a decollare e il loro destino sembra quasi segnato.

Nel 2008 la crisi mondiale però ha messo in difficoltà l’Italia. L’anno successivo sono arrivate le prime ripercussioni anche nell’Eldorado dei dentisti. Il settore, per la prima volta dopo decenni, ha registrato una flessione del 15% per ponti, corone e impianti. La crisi ha spento il sorriso degli italiani e ha intaccato leggermente quello dei dentisti che non hanno voluto riflettere e comprendere che i tempi stavano cambiando, ovviamente in peggio.

Uno degli errori più grandi è stato quello di non comprendere che quella dentale è a tutti gli effetti una filiera che inizia con la domanda da parte del paziente. È proprio questa domanda poi a dare il via alla lavorazione e alla vendita di prodotti e prestazioni che, prima del 2009, avevano creato un fatturato complessivo pari a 1,2 miliardi. Dentisti, odontotecnici, industrie specializzate: ognuna di queste realtà era ed è legata a un presupposto fondamentale, la richiesta del paziente.

Il problema è che quello stesso paziente dal quale dipende la filiera è fuggito, pressato da condizioni economiche che lo hanno posto di fronte alla necessità di rinunciare alle cure specialistiche. Questo ha provocato un terremoto che ha scosso dalle fondamenta il mondo odontoiatrico non abituato a fare i conti con un’agenda vuota o quasi. Il mercato è stato preso da assalto da realtà nuove, capitalistiche che hanno pensato bene di riunire sotto l’egida del low cost, la necessità di risparmiare con le leggi del profitto. Marketing e salute sono diventate le nuove frontiere da esplorare che hanno portato un calo di pazienti ancora più marcato negli studi monoprofessionali.

Il futuro della professione del dentista

Questo nuovo tessuto sociale ed economico ha modificato le fondamenta tradizionali della professione del dentista. Eppure, nonostante un’agenda ormai troppo vuota rispetto a quelle degli anni precedenti, i dentisti della vecchia guardia non hanno voluto vedere la realtà e piegarsi alle necessità di un’economia messa in ginocchio dalla crisi. Eccolo il vero paradosso di tutta la storia. Ti basta dare un’occhiata ai vari forum online in cui si discute del futuro della professione per leggere commenti che hanno dell’incredibile. Di fronte a professionisti seri che cercano di tastare il polso della nuova situazione che riguarda il settore, trovi medici che millantano guadagni al limite della sopravvivenza. Peccato che parliamo di cifre dai 5000 euro in su, in un paese dopo chi percepisce il reddito di cittadinanza o un semplice operaio arrivano a stento a 1000 euro al mese.

Le giustificazioni sono quelle che sentiamo da una vita: il dipendente statale non ha sudato per diventare quello che è, un medico invece ha studiato tanto ed è giusto che guadagni molto e che possegga la villa al mare e la casa in città.

Non siamo qui a giudicare, il presupposto del discorso potrebbe essere anche valido, non si diventa medici con un anno di studio. Il problema è il rifiuto di fare qualcosa di pratico, di reale per colmare il divario quasi insanabile tra professionista privato e paziente.

Questo vuoto, riempito in un primo tempo con le famigerate catene low cost, ha spinto i pazienti a guardare altrove, alla ricerca di realtà più semplici ma egualmente efficaci come il famigerato turismo dentale. Anche in questo frangente, la risposta da parte della lobby dei dentisti è stata anacronistica e scontata. Piuttosto che capire il motivo che spinge le persone a farsi curare all’estero, ad esempio in uno studio dentistico in Croazia oppure da un dentista in Albania, e rivedere i propri margini di guadagno, fondati come vedremo su rincari che a volte sfiorano il 1000%, la classe medica ha pensato bene di gridare allo scandalo. La guerra con i dentisti e con le cliniche dentistiche dell’Est è stata e continua a essere senza esclusione di colpi, peccato che molti professionisti italiani, gli stessi che accusano i colleghi stranieri di scarsa preparazione, pur di mantenere alti i margini di guadagno, si rechino in Croazia per farsi costruire protesi e impianti per poi rivenderle in Italia ai prezzi che purtroppo conosciamo.

In conclusione, il problema è purtroppo semplice. Il mestiere del dentista non è più un posto fisso e redditizio. La società se ne è resa conto, i dentisti forse no.

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